FOCUS ON

Francesca Piqueras


Francesca Piqueras è cresciuta in una famiglia di artisti. Parente stretta di Marcel Duchamp, Man Ray e Salvador Dalì, li incontrava d'estate a Cadaques.

Al centro di questo mondo brillante, è cresciuta in solitaria e attenta osservazione.

Dai tredici anni, ha sviluppato una passione per la videocamera e la fotocamera che ha ricevuto in dono e le hanno permesso di affinare, a distanza, il suo sguardo.

Ha studiato storia dell'arte, del cinema, ha lavorato come montatore, senza mai abbandonare i suoi dispositivi.

La sua prima esposizione risale al 2007. Si tratta di una serie di bianco e nero sull'universo urbano che lei non esita a mostrare con crudo realismo.

Colpita da "Deserto Rosso" di Michelangelo Antonioni, la sua attenzione si concentra su altre tracce, quelle della civiltà industriale.

Passa al colore e nel 2011 presenta la serie "Architettura dell'assenza" scatti sugli smantellamenti dei battelli nei cantieri in Bangladesh, e nel 2012, "Architettura del silenzio" foto di navi cargo affondate al largo delle coste della Mauritania, contrarie a tutte le norme del diritto.

Francesca Piqueras: "L'architecture du silence" Mauritanie, 2011

 

Continua il progetto artistico tra mare, cielo, metallo e ruggine concentrandosi sulle piattaforme petrolifere e militari.
"Io fotografo ciò che l'uomo ha costruito per ragioni economiche o di guerra. Per le sue esigenze architettoniche l'uomo inventa scuse incredibili. Costruiscono in situazioni estreme e in un modo assai discutibile. Ma il mio scopo non è di denunciare.
Piuttosto mi interessa la follia umana, i suoi paradossi e le sue contraddizioni. Trovo che l'estetica di questi oggetti sia al suo massimo quando la natura fa il suo corso. Tempo, ruggine, degrado reinventano queste architetture e poeticamente scolpiscono e riscrivono la storia umana. La nostra storia "
Francesca oggi espone numerosi altri progetti, altri resti industriali, in tutto il mondo.

Francesca Piqueras: "L'architecture intérieure" Ecosse 2012
 

Opera

Fotografo da diversi anni il paradosso di un mondo industriale furioso, paesaggi marini da cui emergono strutture arroganti: piattaforme petrolifere, naufragi, guerrieri forti, che scelgo quando sono al degrado, morenti, mangiate dagli elementi. Trovo una metamorfosi di sculture potenti e monumentali, dotate di autonomia, di una propria estetica che io trasformo in scenografie di design post-industriale.

Ho iniziato la mia prima serie in bianco e nero, centrata su un mondo urbano in cui non mi sentivo libera di magnificare il crudo realismo.

Poi sono passata al colore con la serie "Architettura dell'assenza" nel 2011, scatti sugli smantellamenti dei battelli nei cantieri in Bangladesh, e nel 2012, "Architettura del Silenzio" foto di navi cargo affondate al largo delle coste della Mauritania, contrarie a tutte le norme del diritto.

A seguire, la serie "Architettura d'Interni" nel 2013, in un cantiere navale in una baia in Scozia atto alla riparazione di piattaforme petrolifere, dove ho trattato pilastri di piattaforme arrugginite.

Poi sono partita per la foce del Tamigi nel 2013 per i Forts de Maunseel, enormi sculture erettili.

Sono tornata in Perù nel 2014 a Lobitos per la serie "Panic Point" dove le piattaforme sono nascoste dietro enormi onde che deviano lo sguardo.

Francesca Piqueras; "Panic Point" Peru, 2014

Ho appena finito una serie di naufragi a Capo Verde.

Io continuo a difendere questo realismo estetico e questi giganti caduti, abbandonati, dimenticati, totem e tabù della presenza umana, con i suoi eccessi e la sua incapacità di pensare il futuro del pianeta.

Nel corso d'acqua, emerge un'estetica contemporanea. Personale.

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